Situata sulla costa tirrenica tra gli abitati di Lido di
Lavinio e la Via Ardeatina al Km 34.400 della Via Litoranea Anzio-Ostia. Si
estende su una superficie di 44 ettari circa, di macchia mediterranea. Il nome
prende origine dalla Torre di avvistamento che predomina sul promontorio detta
la Torre delle Caldane eretta nel Medioevo a difesa delle incursioni saracene.
Nel 1813 l’edificio fu gravemente danneggiato durante lo
sbarco di truppe inglesi. Successivamente restaurato (vedi anno di restauro su
alcuni mattoni), tra i progetti per il sito ci sarebbe anche quello di scavo
per riportare alla luce la villa romana su cui è sorta Tor Caldara. La Riserva
è stata istituita nel 1988 dalla Regione Lazio.
In passato il paesaggio della costa laziale era
caratterizzato da foreste di pianura e di collina estese e fitte, che in
direzione della costa si trasformavano in macchia mediterranea e in duna
costiera. Un territorio ricco in termini di biodiversità floristica e faunistica
proprio per la presenza di habitat differenti. Lagune, paludi, promontori e
spiagge si succedevano senza soluzione di continuità a formare le selve
medio-tirreniche al cui interno si ritrovavano le grandi estensioni delle
foreste di Terracina e di Nettuno ancora presenti, nella loro interezza, fino
alla fine del XVII secolo.
Tor Caldara fu frequentata fin dall’antichità, come provano
reperti archeologici ritrovati in loco. La zona più alta doveva costituire un
ottimo osservatorio per la caccia della selvaggina numerosa nelle antiche
pianure costiere e i boschi circostanti. Sono stati trovati reperti dell’età
del bronzo (dal 3.500 a.C. al 1.200 a.C. circa) mentre al periodo romano
risalgono le strutture di una villa marittima costruita sul promontorio.
AMBIENTE E FLORA: Tor
Caldara costituisce uno degli ultimi lembi residui di foreste delle pianure
costiere laziali, con un enorme valore documentario. La Riserva è un esempio di
foresta mediterranea a prevalenza di sempreverdi. 280 sono le specie vegetali
presenti, con sei specie per ettaro. Tra le specie più rappresentative di
questa fitta formazione, il leccio, la sughera, con splendidi esemplari, alcuni
ibridi del cerro-sughera (quercus crenata), e il corbezzolo. Inoltre,
la foresta conserva splendidi esemplari di farnia, farnetto, orniello e sulle
sponde di un piccolo corso d’acqua, l’ontano. Al riparo dei lecci, troviamo la bellissima
e rara felce florida (osmunda regalis), che costituisce il vero tesoro botanico
della Riserva. Pioppi e felci si osservano nelle zone più umide. Verso il mare,
sul bancone di sabbie e arenarie plioceniche a forma di falesia, sono presenti
il lentisco e il mirto. Una vera rarità rappresenta lo zigolo termale (cyperus
polystachyos) che colonizza la falesia costiera: si tratta della seconda
segnalazione, oltre a quella dell’isola di Ischia, di questa specie floristica
in ambito europeo.
L’area di Tor
Caldara è ricca di solfatare, antiche miniere di zolfo a cielo aperto, dovute
alla risalita dei gas del vulcano laziale. Il vecchio cantiere estrattivo dello
zolfo ha determinato la formazione di un vasto ambiente sterile dovuto
all’accumulo dei materiali di risulta degli scavi. Con il tempo è divenuta un
paesaggio di rara bellezza, grazie al forte contrasto tra le nude superfici del
detrito ed il verde rigoglioso del bosco.
FAUNA: Tra la fauna
osservata abbiamo il coniglio selvatico, la donnola, il riccio, la volpe.
Numerosi gli uccelli: la beccaccia, la tortora, la quaglia. Tra i predatori, la
civetta. Molto importanti i nidi, tra le solfatare, del coloratissimo
gruccione, emblema della Riserva, mentre gli acquitrini stagionali attirano i
limicoli, le anatre, l’airone cenerino, la garzetta e la nitticora. In seguito
all’istituzione dell’area protetta, e alla cessazione dell’attività venatoria,
alcune significative presenze sono andate consolidandosi: è il caso della
colonia di coniglio selvatico. Sono ospitate nella riserva decine di tartarughe
che si possono incontrare sulla spiaggia. Inoltre, 9 specie di rettili, tra cui
la vipera, 5 di anfibi, almeno 50 di uccelli soprattutto migratori, 15 di
mammiferi, e numerose specie di invertebrati legate alle diverse nicchie
ecologiche presenti.
GEOLOGIA: Si osserva una prevalenza di terreni sabbiosi, ghiaie, calcareniti e tufiti pleistoceniche, marne e argille plioceniche presso la costa. Zone intensamente mineralizzate con zolfo affiorante, sorgenti di acque mineralizzate e processi di travertinizzazione.
La Riserva Naturale Regionale Tor Caldara è
stata istituita nel 1988 e dal 2005 è Sito di Importanza Comunitaria (SIC). La
Riserva consiste in una solfatara in un lembo di foresta costiera. Tor Caldara
è il risultato del vulcanesimo secondario e della vegetazione che costituiva
una fascia boschiva lungo tutta la costa tirrenica. La solfatara, sfruttata dai
tempi antichi per l’estrazione dello zolfo, prevedeva l’uso del fuoco per la
purificazione di tale elemento e ciò ha portato fino al XIX sec. al taglio del
bosco. Rimangono quindi solo alcuni alberi centenari. La riserva appare come un quadrilatero di 44
ettari. La solfatara è data dalla emissione di acqua sotterranea (fondamentalmente
vapore) con disciolti gas vari tra cui anzitutto CO2 (anidride carbonica) e SO2
(anidride solforosa). A contatto dell’aria si libera lo zolfo che rende bianca
l’acqua e si deposita sui fanghi. Grande cautela va osservata quando l’aria
nella riserva è stagnante. L’anidride carbonica e l’acido solfidrico (H2S) sono
più pesanti dell’aria ed essendo mortali possono provocare drammatici eventi
spesso a carico di animali come volpi o uccelli. Dall’acido solfidrico deriva
quel particolare odore di uova marce.
Tor Caldara deriva il suo nome da “Torre delle
Caldane” costruita da Marcantonio Colonna (XVI sec.). su ordine di Papa Pio V
(1566-1572) come torre di avvistamento contro i pirati saraceni. Edificata
sopra i resti di una villa romana, aveva due piani, ridotti ad uno a causa dei
danneggiamenti inglesi del 1813. Le caldane servivano alla purificazione dello
zolfo.
ANIMALI: Tra gli animali sono stati avvistati o
vi nidificano circa 70 specie di uccelli, 15 mammiferi, 9 rettili e 6 anfibi. Belli
sono i colorati e garruli Gruccioni, che nidificano nell’arenaria della
falesia. Tra i mammiferi si segnala il tasso, la volpe, la donnola, etc. Non si
segnalano vipere dal 1982.
ALBERI GUIDA: Sono il Leccio e la Sughera. Presenti anche altre querce come la Farnia e il Cerro. Tralasciando altre specie, notevoli sono gli ibridi tra i cerro e la sughera (pseudosughera). Abbondante una rara felce, la Felce reale (florida), adattata alle zone umide e acide. Sono presenti le specie tipiche delle solfatare, ma anche
una piccola
specie subtropicale (Cyperus polystachios) trovata in Europa solo qui e ad
Ischia. La macchia mediterranea è costituita dai vegetali tipici come il
Corbezzolo, il Mirto, il Lentisco, la Fillirea, etc. Insomma un luogo ancora
ricco di biodiversità, da godere e conservare.
(Rivista Il Litorale)
SOLFATARA (definizione): Fenomeno vulcanico secondario caratterizzato
da emissioni gassose che si verificano in presenza di acqua nelle profondità
del terreno. L’acqua, con sostanze minerali e gas, entra in contatto con il
magma del vulcano quasi completamente raffreddato e arriva in superficie. Il
gas che viene liberato ha il tipico odore di uova marce (emissioni di
bollicine).
IL
VULCANISMO SECONDARIO: L’attività di un vulcano dura centinaia di migliaia di
anni fino alla sua completa estinzione. I fenomeni del vulcanismo o magmatismo
secondario si manifestano nella fase finale della vita di un vulcano,
caratterizzati dall’emissione di gas e vapori. Tra questi fenomeni ricordiamo
le fumarole, le solfatare, le sorgenti termali, i soffioni boraciferi, i geyser
e le mofete. Sono tutti fenomeni collegati con la presenza in profondità di
camere magmatiche in via di raffreddamento che riscaldano le acque sotterranee
che passano nelle vicinanza e favoriscono la loro risalita fino in superfice.
Le solfatare sono emissioni di vapori caldi (150°) ricchi di composti dello
zolfo dal colore giallo che formano cristalli intorno al loro sbocco in
superficie. Caratteristico è l’odore di uova marce. La più importante solfatara
in Italia è quella di Pozzuoli, situata all’interno di un vulcano estinto.
IL
SENTIERO: Lunghezza del percorso: circa 1,5 Km – Percorrenza: facile – Tempo di
percorrenza: 1 ora e 40 minuti. Il sentiero attraversa tutta la Riserva
perpendicolarmente alla costa. E’ possibile osservare i principali aspetti
della vegetazione, dai boschi di leccio fino alla flora che resiste alla
salsedine del litorale.
INIZIO
SENTIERO: Attraversiamo il bosco di Tor Caldara, uno degli ultimi residui della
grande foresta di Nettuno che fino alla metà del secolo scorso si estendeva per
oltre 10.000 ettari tra le pendici dei Colli Albani ed il mare. I lecci, oggi
preponderanti, ricoprivano solo in parte la selva, molto diffusi erano cerro, farnia,
farnetto, olmo, frassino e ontano. Secoli di tagli, le grandi bonifiche, e i
dissodamenti avvenuti già dall’inizio del secolo scorso hanno ridotto la
superficie forestale del territorio di Anzio e Nettuno a pochi isolati
lembi-relitto.
Stazione
1 – Si osserva la vegetazione particolarmente rigogliosa. Orientiamo lo sguardo
verso il bosco, le fitte chiome dei lecci ostacolano il passaggio dei raggi
solari e le rampicanti come lo stracciabrache,
la vite, il tamaro o la rosa di San Giovanni si spingono in alto,
intrecciandosi e avviluppandosi alla ricerca della luce.
Lo
Stracciabrache
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Stazione
2 – Si possono ammirare le querce a foglia caduca come la
farnia e il farnetto che, pur essendo specie collinari, trovano nelle
zone di pianura con rilevante tasso di umidità, un ambiente ideale. Hanno
colonizzato un territorio con un sottosuolo probabilmente molto ricco di acqua
di falda. Attorno prosperano fillirea, corbezzolo e biancospino. Una curiosità:
il nome scientifico del farnetto è il frainetto e deriva da un errore del
tipografo, infatti il botanico che aveva classificato la specie nel 1813,
l’aveva denominata Quercus farnetto utilizzando il nome comune.
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Stazione
3 – Cattura l’attenzione una vecchia quercia sempreverde: La Sughera. Diffusa
in tutto il bacino del Mediterraneo occidentale viene sfruttata industrialmente
per la produzione del sughero. Dal punto di vista botanico il sughero è un
tessuto costituito da cellule morte e “vuote” ma ha proprietà notevolissime:
non trasmette calore, è impermeabile, galleggia e resiste agli attacchi di
funghi e muffe. Grazie al prezioso prodotto ricavato dall’asportazione della
corteccia (ogni 12 anni circa sul singolo esemplare), la sughera è stata
risparmiata dall’ultimo grande taglio boschivo degli anni ’50.
Sughera
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Stazione
4 – L’Olmo è una caducifoglia che predilige gli
ambienti umidi, addirittura palustri. Si apprende dai documenti d’archivio che
nell’antica Selva di Nettuno era specie assai diffusa. I maestosi esemplari
erano impiegati nei cantieri navali della marina pontificia. Negli ultimi anni
la grafiosi, una malattia parassitaria giunta dall’America Settentrionale in
Europa, ha decimato la specie. Curiosità: in cucina i teneri frutti dell’olmo
si usano mescolati ad insalate oppure nelle frittate.
Foglie
di Olmo
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Stazione
5 – Entriamo nel sentiero e alla nostra destra e dopo pochi passi raggiungiamo
un piccolo “belvedere”. Si apre alla vista la panoramica su una delle aree
estrattive dello zolfo, attive fino ai primi anni del 1800, la “Cava Antica”.
L’estrazione dello zolfo era concessa agli appaltatori dalla Camera Apostolica
proprietaria di tutto il territorio di Anzio-Nettuno. Nel ‘700 veniva lavorato
a Castel Sant’Angelo a Roma e serviva per l’industria bellica, nella
preparazione di medicinali e di tinture tessili.
Cava
antica
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Stazione
6 –Una vecchia Robinia pseudoacacia coperta di
edera. E’ una leguminosa arborea proveniente dagli Stati Uniti e introdotta in
Francia nel XVII secolo. Ben presto il suo areale “L'areale di una specie è la
porzione di spazio geografico e temporale in
cui tale specie è presente ed interagisce in modo non effimero
con l'ecosistema”. E' un concetto per certi versi simile alla definizione di nicchia
ecologica ipervolumetrica” si
espanse occupando quasi in tutta Europa gli spazi aperti creati dall’uomo nei
boschi, lungo le strade, ai margini dei centri abitati. E’ specie pioniera
utile per fissare le pendici franose ma dannosa per la concorrenza che fa alla
vegetazione autoctona. La specie è apprezzata dall’uomo non solo per il legno
ma anche come pianta nettarifera. Il miele d’acacia è senza dubbio tra i più
conosciuti ed apprezzati.
Robinia
Pseudoacacia
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Stazione
7 – Ci troviamo all’interno di una delle vecchie zone di estrazione dello
zolfo. La vegetazione acquatica di tife e cannucce di palude si è integrata con
le essenze mediterranee. Numerosi gli invertebrati che popolano le acque, in
parte mineralizzate, da fuoriuscite di gas. Sono osservabili libellule,
ditischi, gerridi e notonette. Curiosità: le foglie di tifa anticamente
venivano usate per farne dei panieri mentre le infiorescenze servivano per
imbottire materassi. Il rizoma (germoglio) era utilizzato già nel Paleoloitico
Superiore come pane. I sigari venivano accesi affinchè il copioso fumo
allontanasse le zanzare. Le foglie sfilettate venivano usate in agricoltura per legare gli
ortaggi ai sostegni. Le spighe
venivano usate come repellente per zanzare. Oggi le infiorescenze essiccate
della Tifa vengono utilizzate dai fioristi per preparare delle bellissime
confezioni.
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Stazione
8 – La parete rocciosa, costituita da sabbie poco cementate ed erosa dai venti
marini presenta migliaia di forellini del diametro di pochi millimetri. Sono
stati scavati da imenotteri, piccole vespe del
genere Osmia, che depositano nelle cavità le loro uova, assieme a ragni, afidi
o larve paralizzate con il veleno del pungiglione. Queste vittime costituiranno
la riserva di cibo per le larve delle vespe una volta dischiuse. Sulla sommità
dei versanti sabbiosi più elevati sono visibili fori di diametro maggiore
scavati dal gruccione, un variopinto uccello
migratore che si nutre principalmente di imenotteri.
Imenottero
(specie di vespa)
Gruccione:
variopinto uccello appartenente alla famiglia
Meropidae. È detto anche merope, come il genere di cui fa parte
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Stazione
9 – Nelle vicinanze si sviluppa una bella vegetazione ad erica e corbezzolo, specie pioniere
mediterraneo-occidentali che prediligono stazioni con clima tendenzialmente più
umido e suolo siliceo. Queste specie, assieme al leccio, erano largamente
utilizzate nel processo di fusione dello zolfo per riscaldare le “caldane”. In
questi grandi recipienti di terracotta si otteneva la separazione tra zolfo e
roccia grezza (ganga). Coriosità: un tempo le ramificazioni dell’erica venivano
usate per realizzare le coperture e le pareti delle abitazioni povere, oppure
legate in fascine per costruire scope. Nelle tipiche carbonaie del bosco si
usava il legno di questo arbusto per ottenere un carbone molto richiesto dai
fabbri perché in grado di sviluppare calore costante. Ancora oggi l’erica
fornisce legno pregiato per la costruzione dei fornelli da pipa ricavati dalla
parte nodosa, detta ciocco. I suoi rami venivano utilizzati per ospitare i
bachi da seta al fine di ottenere i bozzoli. Anche i fiori vengono utilizzati
dall’uomo per ricavarne un miele prelibato.
Corbezzolo
Erica
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Stazione
10 – Punto panoramico: ottimo per l’osservazione degli uccelli migratori che
seguono la linea di costa. Curiosità: La Ginestra dei
carbonai, presente all’ingresso del sentiero che conduce
all’osservatorio, è impiegata per la preparazione di prodotti per i capelli. Ha
proprietà sedative, cardiotoniche, diuretiche e purgative. I rami venivano
utilizzati per la preparazione delle scope. E’ presente anche il lentisco dalla
cui resina si ricava il mastice di Chio usato in passato come gomma da
masticare per la sua azione rassodante delle gengive e purificante dell’alito.
Il nome specifico (Cytisus scoparius) si riferisce all’antico uso di rustica scopa adatta alla pulizia dei forni da pane, che veniva fatto con i suoi rami flessibili e difficilmente infiammabili.
Il nome volgare di ginestra dei carbonai proviene dall’uso che, grazie alla sua scarsa infiammabilità, veniva fatto dei suoi rami. Infatti venivano posti in cima alle carbonaie, per consentire alle cataste di legna, circondata dalla terra di bruciare lentamente e trasformarsi in carbone. Inoltre sempre i carbonai usavano i suoi rami per costruire il tetto delle loro capanne, nei boschi dove lavoravano, nel periodo estivo.
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Stazione
11 – LA TORRE, a pianta circolare, fu edificata da Marcantonio Colonna tra il
1560 e il 1565 per difendere questo tratto di costa a nord di Porto d’Anzio
dalle frequenti incursioni di pirati provenienti soprattutto dal Nord Africa. Era
armata con un falconetto, piccolo cannone in grado di sparare palle di 4
libbre. Nel 1813 fu danneggiata a seguito di uno sbarco di truppe inglesi
rivolto contro le truppe francesi occupanti lo Stato Pontificio. L’edificio fu
realizzato sul luogo di una villa romana, di quest’ultima rimangono tracce
sufficienti a farci comprendere l’estensione e la ricchezza dell’edificio dove
abbondavano marmi pregiati e mosaici. Si tratta di una delle numerose ville
costiere a carattere residenziale sorte a partire dal II sec. a.C. ed
appartenenti all’aristocrazia urbana o locale. Tutta la costa di Anzio era
costellata di ville a carattere residenziale simili, appartenenti anche alla
famiglia imperiale.
La
Torre delle Caldane
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QUI
SI TORNA INDIETRO TROVANDO SULLA SINISTRA
Stazione
12 – Entriamo nel sentiero. Un gruppo di querce sempreverdi ci indica con l’inclinazione
dei suoi trochi, la direzione dei venti provenienti da Nord-Ovest. Si tratta di
Sughere secolari presenti in tutto il bacino del
Mediterraneo centro occidentale. La sughera è una pianta longeva tanto da poter
raggiungere mediamente i 300 anni di età. La sua corteccia, il Sughero,
possiede importanti proprietà: è inattaccabile da insetti e roditori,
resistente al fuoco, elastico, isolante, resistente alla usura. Viene
utilizzata a livello industriale principalmente per la produzione di turaccioli
e materiale isolante.
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Stazione
13 – Questo è un piccolo spazio dedicato ai frutti antichi, gli stessi che
hanno sfamato i nostri avi. Sorbi, mele selvatiche, gelsi, mele e pere cotogne
divengono alimenti prelibati e graditi agli abitanti del bosco. Sono piante
dotate di un’alta resistenza alle malattie. Proseguendo lungo il viale
costeggiato di Pioppo tremulo si arriva al laghetto sulfureo. Attraversiamo il
ponte di legno. Curiosità: I frutti del gelso si raccolgono tra la fine di giugno
e luglio. Si consumano crudi, nelle macedonie, se ne traggono succhi, gelatine
e marmellate.
Gelso
Sorbo
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Stazione
14 – Nel gennaio del 1944 le truppe britanniche sbarcate su “Peter beach”
(spiaggia tra Tor Caldara e Tor San Lorenzo) hanno sfruttato questa parte del
bosco della riserva per insediare il proprio campo base in un’area non
rilevabile dalle ricognizioni aeree nemiche. Questo tratto di sentiero è
impostato sull’antico canale di scolo del campo base.
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Stazione
15 – Guardandoci attorno possiamo notare che l’intervento dell’uomo è ridotto
al minimo al fine di permettere l’evolversi del ciclo naturale di nascita,
crescita e morte delle piante. Il legno morto continua a dare cibo e rifugio a
numerose specie di invertebrati a loro volta predati da altri invertebrati, da
uccelli o da mammiferi insettivori. Sono presenti numerose colonie di termiti che si annidano nelle vecchie ceppaie e nei
tronchi marcescenti dove scavano gallerie e conducono una vita gerarchica
strutturata in caste. Piccoli mammiferi, rettili o uccelli possono nidificare
nelle fessure del tronco. In questo modo le catene alimentari all’interno del
bosco si arricchiscono.
Termiti
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Stazione
16 – Il cratere formato dall’esplosione di una bomba dell’ultimo conflitto
mondiale, una volta allagato, ha creato un microclima adatto allo sviluppo
delle felci caratteristiche dei boschi planiziali costieri. Questo giardino
delle felci ospita alcune specie tra cui la lingua cervina, la felce maschi.
Vero tesoro botanico della Riserva è la splendida felce florida, presente nel
Lazio oltre a Tor Caldara, nel Tolfetano, a Tivoli e nell’Isola di Ponza.
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Stazione 17 – Negli ultimi decenni l’attività umana esercitata sugli ambienti naturali, ha generato nel nostro pianeta effetti negativi. Per tanto è stata riconosciuta a livello internazionale la necessità di attuale misure volte alla conservazione della biodiversità. Entra in vigore nel 1980 la convenzione di Washington sul commercio internazionale delle specie di fauna e flora selvatiche minacciate di estinzione (C.I.T.E.S.) Convention on International Trade of Endangered Species. Rientrano in questo accordo alcune specie ospitate presso l’area faunistica della Riserva