mercoledì 13 luglio 2022

Tor Caldara

 


Situata sulla costa tirrenica tra gli abitati di Lido di Lavinio e la Via Ardeatina al Km 34.400 della Via Litoranea Anzio-Ostia. Si estende su una superficie di 44 ettari circa, di macchia mediterranea. Il nome prende origine dalla Torre di avvistamento che predomina sul promontorio detta la Torre delle Caldane eretta nel Medioevo a difesa delle incursioni saracene.

Nel 1813 l’edificio fu gravemente danneggiato durante lo sbarco di truppe inglesi. Successivamente restaurato (vedi anno di restauro su alcuni mattoni), tra i progetti per il sito ci sarebbe anche quello di scavo per riportare alla luce la villa romana su cui è sorta Tor Caldara. La Riserva è stata istituita nel 1988 dalla Regione Lazio.

In passato il paesaggio della costa laziale era caratterizzato da foreste di pianura e di collina estese e fitte, che in direzione della costa si trasformavano in macchia mediterranea e in duna costiera. Un territorio ricco in termini di biodiversità floristica e faunistica proprio per la presenza di habitat differenti. Lagune, paludi, promontori e spiagge si succedevano senza soluzione di continuità a formare le selve medio-tirreniche al cui interno si ritrovavano le grandi estensioni delle foreste di Terracina e di Nettuno ancora presenti, nella loro interezza, fino alla fine del XVII secolo.

Tor Caldara fu frequentata fin dall’antichità, come provano reperti archeologici ritrovati in loco. La zona più alta doveva costituire un ottimo osservatorio per la caccia della selvaggina numerosa nelle antiche pianure costiere e i boschi circostanti. Sono stati trovati reperti dell’età del bronzo (dal 3.500 a.C. al 1.200 a.C. circa) mentre al periodo romano risalgono le strutture di una villa marittima costruita sul promontorio.

AMBIENTE E FLORA:  Tor Caldara costituisce uno degli ultimi lembi residui di foreste delle pianure costiere laziali, con un enorme valore documentario. La Riserva è un esempio di foresta mediterranea a prevalenza di sempreverdi. 280 sono le specie vegetali presenti, con sei specie per ettaro. Tra le specie più rappresentative di questa fitta formazione, il leccio, la sughera, con splendidi esemplari, alcuni ibridi del cerro-sughera (quercus crenata), e il corbezzolo. Inoltre, la foresta conserva splendidi esemplari di farnia, farnetto, orniello e sulle sponde di un piccolo corso d’acqua, l’ontano. Al riparo dei lecci, troviamo la bellissima e rara felce florida (osmunda regalis), che costituisce il vero tesoro botanico della Riserva. Pioppi e felci si osservano nelle zone più umide. Verso il mare, sul bancone di sabbie e arenarie plioceniche a forma di falesia, sono presenti il lentisco e il mirto. Una vera rarità rappresenta lo zigolo termale (cyperus polystachyos) che colonizza la falesia costiera: si tratta della seconda segnalazione, oltre a quella dell’isola di Ischia, di questa specie floristica in ambito europeo.

L’area di Tor Caldara è ricca di solfatare, antiche miniere di zolfo a cielo aperto, dovute alla risalita dei gas del vulcano laziale. Il vecchio cantiere estrattivo dello zolfo ha determinato la formazione di un vasto ambiente sterile dovuto all’accumulo dei materiali di risulta degli scavi. Con il tempo è divenuta un paesaggio di rara bellezza, grazie al forte contrasto tra le nude superfici del detrito ed il verde rigoglioso del bosco.

FAUNA: Tra la fauna osservata abbiamo il coniglio selvatico, la donnola, il riccio, la volpe. Numerosi gli uccelli: la beccaccia, la tortora, la quaglia. Tra i predatori, la civetta. Molto importanti i nidi, tra le solfatare, del coloratissimo gruccione, emblema della Riserva, mentre gli acquitrini stagionali attirano i limicoli, le anatre, l’airone cenerino, la garzetta e la nitticora. In seguito all’istituzione dell’area protetta, e alla cessazione dell’attività venatoria, alcune significative presenze sono andate consolidandosi: è il caso della colonia di coniglio selvatico. Sono ospitate nella riserva decine di tartarughe che si possono incontrare sulla spiaggia. Inoltre, 9 specie di rettili, tra cui la vipera, 5 di anfibi, almeno 50 di uccelli soprattutto migratori, 15 di mammiferi, e numerose specie di invertebrati legate alle diverse nicchie ecologiche presenti.

GEOLOGIA: Si osserva una prevalenza di terreni sabbiosi, ghiaie, calcareniti e tufiti pleistoceniche, marne e argille plioceniche presso la costa. Zone intensamente mineralizzate con zolfo affiorante, sorgenti di acque mineralizzate e processi di travertinizzazione. 



La Riserva Naturale Regionale Tor Caldara è stata istituita nel 1988 e dal 2005 è Sito di Importanza Comunitaria (SIC). La Riserva consiste in una solfatara in un lembo di foresta costiera. Tor Caldara è il risultato del vulcanesimo secondario e della vegetazione che costituiva una fascia boschiva lungo tutta la costa tirrenica. La solfatara, sfruttata dai tempi antichi per l’estrazione dello zolfo, prevedeva l’uso del fuoco per la purificazione di tale elemento e ciò ha portato fino al XIX sec. al taglio del bosco. Rimangono quindi solo alcuni alberi centenari.  La riserva appare come un quadrilatero di 44 ettari. La solfatara è data dalla emissione di acqua sotterranea (fondamentalmente vapore) con disciolti gas vari tra cui anzitutto CO2 (anidride carbonica) e SO2 (anidride solforosa). A contatto dell’aria si libera lo zolfo che rende bianca l’acqua e si deposita sui fanghi. Grande cautela va osservata quando l’aria nella riserva è stagnante. L’anidride carbonica e l’acido solfidrico (H2S) sono più pesanti dell’aria ed essendo mortali possono provocare drammatici eventi spesso a carico di animali come volpi o uccelli. Dall’acido solfidrico deriva quel particolare odore di uova marce.

Tor Caldara deriva il suo nome da “Torre delle Caldane” costruita da Marcantonio Colonna (XVI sec.). su ordine di Papa Pio V (1566-1572) come torre di avvistamento contro i pirati saraceni. Edificata sopra i resti di una villa romana, aveva due piani, ridotti ad uno a causa dei danneggiamenti inglesi del 1813. Le caldane servivano alla purificazione dello zolfo.

ANIMALI: Tra gli animali sono stati avvistati o vi nidificano circa 70 specie di uccelli, 15 mammiferi, 9 rettili e 6 anfibi. Belli sono i colorati e garruli Gruccioni, che nidificano nell’arenaria della falesia. Tra i mammiferi si segnala il tasso, la volpe, la donnola, etc. Non si segnalano vipere dal 1982.

ALBERI GUIDA: Sono il Leccio e la Sughera. Presenti anche altre querce come la Farnia e il Cerro. Tralasciando altre specie, notevoli sono gli ibridi tra i cerro e la sughera (pseudosughera). Abbondante una rara felce, la Felce reale (florida), adattata alle zone umide e acide. Sono presenti le specie tipiche delle solfatare, ma anche 


una piccola specie subtropicale (Cyperus polystachios) trovata in Europa solo qui e ad Ischia. La macchia mediterranea è costituita dai vegetali tipici come il Corbezzolo, il Mirto, il Lentisco, la Fillirea, etc. Insomma un luogo ancora ricco di biodiversità, da godere e conservare.

(Rivista Il Litorale) 



SOLFATARA (definizione): Fenomeno vulcanico secondario caratterizzato da emissioni gassose che si verificano in presenza di acqua nelle profondità del terreno. L’acqua, con sostanze minerali e gas, entra in contatto con il magma del vulcano quasi completamente raffreddato e arriva in superficie. Il gas che viene liberato ha il tipico odore di uova marce (emissioni di bollicine).

IL VULCANISMO SECONDARIO: L’attività di un vulcano dura centinaia di migliaia di anni fino alla sua completa estinzione. I fenomeni del vulcanismo o magmatismo secondario si manifestano nella fase finale della vita di un vulcano, caratterizzati dall’emissione di gas e vapori. Tra questi fenomeni ricordiamo le fumarole, le solfatare, le sorgenti termali, i soffioni boraciferi, i geyser e le mofete. Sono tutti fenomeni collegati con la presenza in profondità di camere magmatiche in via di raffreddamento che riscaldano le acque sotterranee che passano nelle vicinanza e favoriscono la loro risalita fino in superfice. Le solfatare sono emissioni di vapori caldi (150°) ricchi di composti dello zolfo dal colore giallo che formano cristalli intorno al loro sbocco in superficie. Caratteristico è l’odore di uova marce. La più importante solfatara in Italia è quella di Pozzuoli, situata all’interno di un vulcano estinto.  

IL SENTIERO: Lunghezza del percorso: circa 1,5 Km – Percorrenza: facile – Tempo di percorrenza: 1 ora e 40 minuti. Il sentiero attraversa tutta la Riserva perpendicolarmente alla costa. E’ possibile osservare i principali aspetti della vegetazione, dai boschi di leccio fino alla flora che resiste alla salsedine del litorale.



 

INIZIO SENTIERO: Attraversiamo il bosco di Tor Caldara, uno degli ultimi residui della grande foresta di Nettuno che fino alla metà del secolo scorso si estendeva per oltre 10.000 ettari tra le pendici dei Colli Albani ed il mare. I lecci, oggi preponderanti, ricoprivano solo in parte la selva, molto diffusi erano cerro, farnia, farnetto, olmo, frassino e ontano. Secoli di tagli, le grandi bonifiche, e i dissodamenti avvenuti già dall’inizio del secolo scorso hanno ridotto la superficie forestale del territorio di Anzio e Nettuno a pochi isolati lembi-relitto.

Stazione 1 – Si osserva la vegetazione particolarmente rigogliosa. Orientiamo lo sguardo verso il bosco, le fitte chiome dei lecci ostacolano il passaggio dei raggi solari e le rampicanti come lo stracciabrache, la vite, il tamaro o la rosa di San Giovanni si spingono in alto, intrecciandosi e avviluppandosi alla ricerca della luce.

 

Lo Stracciabrache 


Rosa di San Giovanni


Tamaro



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Stazione 2 – Si possono ammirare le querce a foglia caduca come la farnia e il farnetto che, pur essendo specie collinari, trovano nelle zone di pianura con rilevante tasso di umidità, un ambiente ideale. Hanno colonizzato un territorio con un sottosuolo probabilmente molto ricco di acqua di falda. Attorno prosperano fillirea, corbezzolo e biancospino. Una curiosità: il nome scientifico del farnetto è il frainetto e deriva da un errore del tipografo, infatti il botanico che aveva classificato la specie nel 1813, l’aveva denominata Quercus farnetto utilizzando il nome comune.

 Farnia

 Firillea

 Biancospino


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Stazione 3 – Cattura l’attenzione una vecchia quercia sempreverde: La Sughera. Diffusa in tutto il bacino del Mediterraneo occidentale viene sfruttata industrialmente per la produzione del sughero. Dal punto di vista botanico il sughero è un tessuto costituito da cellule morte e “vuote” ma ha proprietà notevolissime: non trasmette calore, è impermeabile, galleggia e resiste agli attacchi di funghi e muffe. Grazie al prezioso prodotto ricavato dall’asportazione della corteccia (ogni 12 anni circa sul singolo esemplare), la sughera è stata risparmiata dall’ultimo grande taglio boschivo degli anni ’50.

 



Sughera

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Stazione 4 – L’Olmo è una caducifoglia che predilige gli ambienti umidi, addirittura palustri. Si apprende dai documenti d’archivio che nell’antica Selva di Nettuno era specie assai diffusa. I maestosi esemplari erano impiegati nei cantieri navali della marina pontificia. Negli ultimi anni la grafiosi, una malattia parassitaria giunta dall’America Settentrionale in Europa, ha decimato la specie. Curiosità: in cucina i teneri frutti dell’olmo si usano mescolati ad insalate oppure nelle frittate.

 


Foglie di Olmo

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Stazione 5 – Entriamo nel sentiero e alla nostra destra e dopo pochi passi raggiungiamo un piccolo “belvedere”. Si apre alla vista la panoramica su una delle aree estrattive dello zolfo, attive fino ai primi anni del 1800, la “Cava Antica”. L’estrazione dello zolfo era concessa agli appaltatori dalla Camera Apostolica proprietaria di tutto il territorio di Anzio-Nettuno. Nel ‘700 veniva lavorato a Castel Sant’Angelo a Roma e serviva per l’industria bellica, nella preparazione di medicinali e di tinture tessili.

 



Cava antica

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Stazione 6 –Una vecchia Robinia pseudoacacia coperta di edera. E’ una leguminosa arborea proveniente dagli Stati Uniti e introdotta in Francia nel XVII secolo. Ben presto il suo areale “L'areale di una specie è la porzione di spazio geografico e temporale in cui tale specie è presente ed interagisce in modo non effimero con l'ecosistema”. E' un concetto per certi versi simile alla definizione di nicchia ecologica ipervolumetrica” si espanse occupando quasi in tutta Europa gli spazi aperti creati dall’uomo nei boschi, lungo le strade, ai margini dei centri abitati. E’ specie pioniera utile per fissare le pendici franose ma dannosa per la concorrenza che fa alla vegetazione autoctona. La specie è apprezzata dall’uomo non solo per il legno ma anche come pianta nettarifera. Il miele d’acacia è senza dubbio tra i più conosciuti ed apprezzati.  

 




Robinia Pseudoacacia

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Stazione 7 – Ci troviamo all’interno di una delle vecchie zone di estrazione dello zolfo. La vegetazione acquatica di tife e cannucce di palude si è integrata con le essenze mediterranee. Numerosi gli invertebrati che popolano le acque, in parte mineralizzate, da fuoriuscite di gas. Sono osservabili libellule, ditischi, gerridi e notonette. Curiosità: le foglie di tifa anticamente venivano usate per farne dei panieri mentre le infiorescenze servivano per imbottire materassi. Il rizoma (germoglio) era utilizzato già nel Paleoloitico Superiore come pane. I sigari venivano accesi affinchè il copioso fumo allontanasse le zanzare. Le foglie sfilettate venivano usate in agricoltura per legare gli ortaggi ai sostegni. Le spighe venivano usate come repellente per zanzare. Oggi le infiorescenze essiccate della Tifa vengono utilizzate dai fioristi per preparare delle bellissime confezioni.

 

 Tifa


 Ditisco

 Gerridi

 notonetta


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Stazione 8 – La parete rocciosa, costituita da sabbie poco cementate ed erosa dai venti marini presenta migliaia di forellini del diametro di pochi millimetri. Sono stati scavati da imenotteri, piccole vespe del genere Osmia, che depositano nelle cavità le loro uova, assieme a ragni, afidi o larve paralizzate con il veleno del pungiglione. Queste vittime costituiranno la riserva di cibo per le larve delle vespe una volta dischiuse. Sulla sommità dei versanti sabbiosi più elevati sono visibili fori di diametro maggiore scavati dal gruccione, un variopinto uccello migratore che si nutre principalmente di imenotteri.

 

Imenottero (specie di vespa)


Gruccione: variopinto uccello appartenente alla famiglia Meropidae. È detto anche merope, come il genere di cui fa parte

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Stazione 9 – Nelle vicinanze si sviluppa una bella vegetazione ad erica e corbezzolo, specie pioniere mediterraneo-occidentali che prediligono stazioni con clima tendenzialmente più umido e suolo siliceo. Queste specie, assieme al leccio, erano largamente utilizzate nel processo di fusione dello zolfo per riscaldare le “caldane”. In questi grandi recipienti di terracotta si otteneva la separazione tra zolfo e roccia grezza (ganga). Coriosità: un tempo le ramificazioni dell’erica venivano usate per realizzare le coperture e le pareti delle abitazioni povere, oppure legate in fascine per costruire scope. Nelle tipiche carbonaie del bosco si usava il legno di questo arbusto per ottenere un carbone molto richiesto dai fabbri perché in grado di sviluppare calore costante. Ancora oggi l’erica fornisce legno pregiato per la costruzione dei fornelli da pipa ricavati dalla parte nodosa, detta ciocco. I suoi rami venivano utilizzati per ospitare i bachi da seta al fine di ottenere i bozzoli. Anche i fiori vengono utilizzati dall’uomo per ricavarne un miele prelibato.

 

Corbezzolo


Erica

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Stazione 10 – Punto panoramico: ottimo per l’osservazione degli uccelli migratori che seguono la linea di costa. Curiosità: La Ginestra dei carbonai, presente all’ingresso del sentiero che conduce all’osservatorio, è impiegata per la preparazione di prodotti per i capelli. Ha proprietà sedative, cardiotoniche, diuretiche e purgative. I rami venivano utilizzati per la preparazione delle scope. E’ presente anche il lentisco dalla cui resina si ricava il mastice di Chio usato in passato come gomma da masticare per la sua azione rassodante delle gengive e purificante dell’alito.

Il nome specifico (Cytisus scoparius) si riferisce all’antico uso di rustica scopa adatta alla pulizia dei forni da pane, che veniva fatto con i suoi rami flessibili e difficilmente infiammabili.

Il nome volgare di ginestra dei carbonai proviene dall’uso che, grazie alla sua scarsa infiammabilità, veniva fatto dei suoi rami. Infatti venivano posti in cima alle carbonaie, per consentire alle cataste di legna, circondata dalla terra di bruciare lentamente e trasformarsi in carbone. Inoltre sempre i carbonai usavano i suoi rami per costruire il tetto delle loro capanne, nei boschi dove lavoravano, nel periodo estivo.

 Ginestra dei Carbonai
 



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Stazione 11 – LA TORRE, a pianta circolare, fu edificata da Marcantonio Colonna tra il 1560 e il 1565 per difendere questo tratto di costa a nord di Porto d’Anzio dalle frequenti incursioni di pirati provenienti soprattutto dal Nord Africa. Era armata con un falconetto, piccolo cannone in grado di sparare palle di 4 libbre. Nel 1813 fu danneggiata a seguito di uno sbarco di truppe inglesi rivolto contro le truppe francesi occupanti lo Stato Pontificio. L’edificio fu realizzato sul luogo di una villa romana, di quest’ultima rimangono tracce sufficienti a farci comprendere l’estensione e la ricchezza dell’edificio dove abbondavano marmi pregiati e mosaici. Si tratta di una delle numerose ville costiere a carattere residenziale sorte a partire dal II sec. a.C. ed appartenenti all’aristocrazia urbana o locale. Tutta la costa di Anzio era costellata di ville a carattere residenziale simili, appartenenti anche alla famiglia imperiale.

La Torre delle Caldane



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Stazione 12 – Entriamo nel sentiero. Un gruppo di querce sempreverdi ci indica con l’inclinazione dei suoi trochi, la direzione dei venti provenienti da Nord-Ovest. Si tratta di Sughere secolari presenti in tutto il bacino del Mediterraneo centro occidentale. La sughera è una pianta longeva tanto da poter raggiungere mediamente i 300 anni di età. La sua corteccia, il Sughero, possiede importanti proprietà: è inattaccabile da insetti e roditori, resistente al fuoco, elastico, isolante, resistente alla usura. Viene utilizzata a livello industriale principalmente per la produzione di turaccioli e materiale isolante.

 sughera






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Stazione 13 – Questo è un piccolo spazio dedicato ai frutti antichi, gli stessi che hanno sfamato i nostri avi. Sorbi, mele selvatiche, gelsi, mele e pere cotogne divengono alimenti prelibati e graditi agli abitanti del bosco. Sono piante dotate di un’alta resistenza alle malattie. Proseguendo lungo il viale costeggiato di Pioppo tremulo si arriva al laghetto sulfureo. Attraversiamo il ponte di legno. Curiosità: I frutti del gelso si raccolgono tra la fine di giugno e luglio. Si consumano crudi, nelle macedonie, se ne traggono succhi, gelatine e marmellate.



 Gelso

Sorbo

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Stazione 14 – Nel gennaio del 1944 le truppe britanniche sbarcate su “Peter beach” (spiaggia tra Tor Caldara e Tor San Lorenzo) hanno sfruttato questa parte del bosco della riserva per insediare il proprio campo base in un’area non rilevabile dalle ricognizioni aeree nemiche. Questo tratto di sentiero è impostato sull’antico canale di scolo del campo base.

 


Fox Hole 

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Stazione 15 – Guardandoci attorno possiamo notare che l’intervento dell’uomo è ridotto al minimo al fine di permettere l’evolversi del ciclo naturale di nascita, crescita e morte delle piante. Il legno morto continua a dare cibo e rifugio a numerose specie di invertebrati a loro volta predati da altri invertebrati, da uccelli o da mammiferi insettivori. Sono presenti numerose colonie di termiti che si annidano nelle vecchie ceppaie e nei tronchi marcescenti dove scavano gallerie e conducono una vita gerarchica strutturata in caste. Piccoli mammiferi, rettili o uccelli possono nidificare nelle fessure del tronco. In questo modo le catene alimentari all’interno del bosco si arricchiscono.

Termiti

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Stazione 16 – Il cratere formato dall’esplosione di una bomba dell’ultimo conflitto mondiale, una volta allagato, ha creato un microclima adatto allo sviluppo delle felci caratteristiche dei boschi planiziali costieri. Questo giardino delle felci ospita alcune specie tra cui la lingua cervina, la felce maschi. Vero tesoro botanico della Riserva è la splendida felce florida, presente nel Lazio oltre a Tor Caldara, nel Tolfetano, a Tivoli e nell’Isola di Ponza.

Felce florida

 
Giardino delle Felci


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Stazione 17 – Negli ultimi decenni l’attività umana esercitata sugli ambienti naturali, ha generato nel nostro pianeta effetti negativi. Per tanto è stata riconosciuta a livello internazionale la necessità di attuale misure volte alla conservazione della biodiversità. Entra in vigore nel 1980 la convenzione di Washington sul commercio internazionale delle specie di fauna e flora selvatiche minacciate di estinzione (C.I.T.E.S.) Convention on International Trade of Endangered Species. Rientrano in questo accordo alcune specie ospitate presso l’area faunistica della Riserva